Descrizione
Il nome di Carlo Alfonso Nallino non rifulge soltanto nel fiorito hortus conclusus degli studi di orientalistica – termine ingenerosamente svillaneggiato quarant’anni fa dal popolare saggio Orientalism dell’anglista palestinese della Columbia University, Edward Said – ma anche negli infiniti spazi della volta stellare.
Grazie alla scoperta fatta il 25 marzo 1998 dagli astronomi italiani del rimpianto Osservatorio San Vittore di Bologna, l’International Astronomical Union ha infatti assegnato il nome “31271 Nallino” a un asteroide della fascia principale (gravitante cioè tra Marte e Giove), in riconoscente ricordo dell’importantissima opera di traduzione e commento in tre volumi del Kitāb az-zīǧ aṣ-ṣābi’ (“Libro delle tavole astronomiche sabee”) , portata felicemente a termine dal nostro studioso, allora trentacinquenne.
L’artefice di quel lavoro, per lunghi secoli di fondamentale rilevanza anche nel mondo cristiano latino, era stato all’incirca un millennio prima l’astronomo, astrologo e matematico arabo sabeo Abū ʿAbd Allāh Muḥammad ibn Ǧābir ibn Sinān al-Raqqī al-Ḥarrānī al-Ṣābiʾ al-Battānī , il cui nome l’Occidente latino semplificò in Albatenius o Albategnius non appena ebbe la possibilità di studiarlo nella veste latina datagli nel 1116 da Platone da Tivoli (o Plato Tiburtinus) sotto il titolo De motu stellarum.
Parte di quel primo “Rinascimento del XII secolo”, nato troppo presto e sostanzialmente fallito, studiato dallo statunitense Charles Homer Haskins , il De motu stellarum fu fondamentale viatico per astronomi come Copernico e, indirettamente, per navigatori ed esploratori oceanici, come Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci e Sebastiano Caboto, Bartolomeo Diaz, Pedro Álvares Cabral o Ferdinando Magellano.
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